Guardami: i ritratti di 18 persone transgender

2023-02-15 15:15:13 By : Mr. Frank Tang

Ore di registrazioni audio e centinaia di fotografie scattate. Entrare a contatto con la storia di qualcuno è un atto di fusione con l’altro. Un dono. Così come fotografare e posare per una fotografia. L’immagine dell’altro diventa un insieme di gesti e di micro espressioni che fremono dalla voglia di venir colti quando le parole non bastano. 

La necessità d’esprimersi liberamente e d’esistere per se stessi è il filo conduttore che unisce le persone ritratte. Venire ritratti, qui, perde la sua passività e diventa scelta, decisione, gesto attivo. L’esperienza trans è esperienza umana, è oggetto e soggetto. L’esperienza trans è indignazione; è resistenza.

“Quest’anno compio 50 anni. Sono 28 anni che sono in transizione. Sono arrivata a Milano nel ‘94 e da quel momento ho iniziato la mia transizione verso il femminile. Dal ’94 ad oggi Milano è cambiata, è più accogliente. Nel ’94 la prostituzione era una scelta obbligata, anche per me lo è stata; non c’era informazione, non c’era l’internet di adesso, c’era solo il passaparola. Oggi come oggi per fortuna noi persone trans abbiamo molte altre opportunità, non esiste solo la prostituzione. La società italiana è un po’ cambiata. Non avrei mai pensato di arrivare a 50 anni. Ho passato una vita davvero travagliata, ma ho affrontato come potevo le varie situazioni. Nel ’94 quando ho ‘scelto’ la prostituzione, non c’era una prospettiva di vita a lungo termine, era come vivere alla giornata. La prostituzione, la strada, ti cambiano, ti induriscono, io ho cercato di mantenere il più possibile la mia genuinità, il mio essere. Quando mi guardo indietro e penso a quanta strada ho fatto, penso anche a quanta ancora ne devo fare: sono convinta che io sia ancora qui per aiutare, per dar voce, per provare a cambiare, con la mia esperienza, le vite altrui, la società. Sono felice degli obbiettivi che ho raggiunto, sono felice dei miei 50 anni, voglio vivere tutto, le mie rughe, perché parlano di me, sono saggezza”.

“So di essere trans fin da quando ero bambino. Non sapevo esattamente cosa fosse, non sapevo dargli un nome, ma provavo delle cose. Ho capito cosa stessi vivendo e finalmente dargli un nome, all’età di 16 anni… grazie ai social, a Internet. Nonostante ne avessi preso coscienza, c’è voluto tempo prima di ammetterlo a me stesso. La parte più difficile è stata accettare me stesso come persona. Fino a quando non ho deciso di fare quel passo fondamentale, ovvero l’accettazione di me come ragazzo trans, è stato difficile relazionarmi agli altri, creare rapporti. Questo perché non mi sentivo parte di niente. Di nessun gruppo. Alle superiori è stata dura, sentivo di voler stare con i ragazzi perché mi sentivo più simile a loro, ma il mio corpo era quella di una ragazza e quindi venivo escluso. Stessa cosa valeva per le ragazze, non mi trovavo in linea con i loro interessi”.

“Avevo paura di non venire accettata. Vivevo la mia vita doppia: ero maschio esternamente ma quando ero sola mi riconciliavo con me tessa, con il mio essere donna, con i miei piccoli momenti in bagno in cui usavo i trucchi di mia mamma. Ricordo ancora l’emozione forte di provare per la prima volta i vestiti di mia madre, avevo 9 anni, non lo scorderò mai. Io ci ho provato a vivere nel mio genere di nascita, e ci sono riuscita per 40 anni ma ad un certo punto non ce l’ho più fatta. Sentivo che dentro me stessa vivere con questa incompletezza mi rendeva infelice ed era giunto il momento che io potessi vivere per quella che sono, Valentina. Io non ho scelto di essere trans, ma ho scelto fino a quando soffrire. Nel 2017 ho quindi iniziato il mio percorso di transizione. Io sono sportiva e non ho mai voluto lasciare lo sport, ma non ce la facevo più a condividere gli spazi maschili, gli spogliatoi maschili, era una violenza per me. Ho svolto molteplici ricerche e mi sono battuta finché sono riuscita a gareggiare in competizioni sportive femminili, diventando la prima donna trans nella storia a gareggiare in competizioni femminili con i documenti ancora maschili. Ormai sono 5 anni dall’inizio del mio percorso. Il mio corpo è cambiato e finalmente riesco a guardarmi allo specchio, nonostante io sia ipovedente [risata], riesco a sentire il mio corpo, un corpo che è cambiato e che ora mi rende felice. Oggi sono felice. Guardo il passato con molto rispetto e il futuro con ottimismo. Il mio sogno è partecipare alle para olimpiadi.”

“Mia sorella e mia nonna sono sempre state le mie sostenitrici numero uno. Quando sono andato da mia nonna in lacrime, a dirle di voler cominciare il percorso di transizione, ha tirato un sospiro di sollievo perché pensava le stessi dando una notizia tragica. Dal primo giorno, fino ancora ad oggi, è lei a farmi le iniezioni di testosterone, ci tiene. A livello di famiglia sono stato veramente fortunato. Ho sentito storie orribili di ragazzini giovanissimi che sono stati buttati fuori di casa dopo aver fatto coming-out. Non posso concepire come qualcuno possa avere figli e non accettarli così come sono. […] Credo che l’aver passato certe cose nella vita, mi abbia portato a voler prendermi cura delle persone che ne hanno bisogno. Se qualcuno ha bisogno di me io ci sono ed ascolto. Mi è successo molte volte, al lavoro, che qualche studente mi chieda di rimanere dopo scuola a parlare ed io rimango lì, ad ascoltare. Non voglio vederli come mi sono visto io. I ragazzi hanno bisogno di essere ascoltati, e basta. Era quello che avrei voluto io, che ho ricercato per un sacco di tempo”.

“Mi appassionano le storie, perché penso che le storie delle persone, dei popoli, ci dicano tanto di noi. Credo che nelle storie ci sia la potenza della rappresentazione. Sono cresciuta in un periodo, in un posto in cui non sapevo che esistessero persone come me e non lo sapevo a tal punto da non sapere chi io fossi. Finché non ho avuto le parole per descrivere ciò che sono non so se lo sono stata per davvero. Fino a che non ho saputo di poter essere transgender non ho cominciato a rivolgermi a me stessa come se lo fossi, quindi non potevo essere onesta con me stessa, non potevo cominciare quel viaggio che le persone fanno per conoscersi. Trovo interessante questa cosa delle storie, come parlando di altre persone, delle storie degli altri, che apparentemente non ci appartengono, possiamo imparare tantissimo su noi stessi, creando nuove storie e ispirando nuove persone. […] Portare avanti il discorso trans nella società ha il senso di una rivoluzione culturale: la nostra esistenza esce dal modo in cui le persone dovrebbero essere, e questo vuol dire che per un sacco di tempo noi non siamo state persone e tutt’oggi in molti posti e per molti esseri umani noi non siamo delle persone. La nostra esistenza sfida concetti, norme, stereotipi e allora le nostre storie diventano fondamentali anche per la liberazione dell’esperienza cisgender [il termine cisgender indica le persone la cui identità di genere corrisponde al genere e al sesso biologico alla nascita], perché soltanto se si può accettare che i ruoli di genere sono una burla, che l’espressione di genere è relativa a spazio e tempo allora possiamo accettare mille altre cose: che una donna cis giochi a calcio o che una persona bianca sia musulmana, ad esempio, però è necessario rompere qualcosa”.

“L’importante è sapere. Sapere che ci sono altre opzioni. Quando ho iniziato il mio percorso di transizione, trovare qualcuno su Youtube che spiegasse cos’è la disforia [di genere], mi ha salvato. Inizialmente, ai miei 19 anni, pensavo che fosse solo una cosa mia, che riguardasse i miei traumi infantili, che mi sarei trascinato dietro questo dolore per sempre. Invece no! La disforia esiste e la vivono tantissime persone! Quindi ti salva sapere che esista una categoria dove potersi ritrovare. Siamo branco, abbiamo bisogno di simili, di poterci rapportare con persone come noi, creare empatia. Ti salva. Trovare qualcuno che sta vivendo quello che vivi tu, o che può consigliarti, ti fa sentire meno solo. Io lavoro con i bambini e rapportarmi con loro, con i giovani in generale, mi ha aperto un mondo, è molto più facile perché ti accettano per quello che sei, non hai bisogno di dimostrare niente. Io credo fermamente nelle nuove generazioni. Non hanno paura delle esperienze. L’unica speranza è credere nei nuovi, in quelli che arriveranno. Ormai ci siamo talmente aperti che non sarà facile tornare indietro. Le persone non dimenticano, e soprattutto si sentono libere.  L ‘uomo nasce libero, perché mai dovrebbe rimanere incatenato?”.

“Ho capito di essere trans all’età di sette anni, mi sentivo una femmina, mi mettevo i vestiti di mia sorella, mi piaceva! All’età di 11 anni ho fatto coming out. Mio padre non mi parlò per tre mesi. Da adolescente ho passato un brutto periodo, la mia famiglia non lo ha saputo gestire e così mi hanno fatta andare in una struttura educativa, non mi volevano più a casa. Mi sono sentita rifiutata, non capivo, ero solo un’adolescente. Sono stata veramente male. Oggi sono grata a mia mamma, grazie a lei oggi sono Marika. In questa comunità ho imparato tanto, ho fatto un percorso, di 3 anni, stavo meglio e nel contempo mi sono diplomata e sono diventata parrucchiera. Mentre facevo il praticantato prendevo lezioni di danza e ho preso un diploma anche come ballerina.[…] Ho vissuto momenti brutti a causa dell’ignoranza delle persone: se sei trans vieni etichettata come una poco di buono. Le persone mi hanno svuotata, trattata male, non ricordavo più chi fossi. Non è stato facile, ma oggi sono rinata. Oggi non mi manca niente. Ho una bella famiglia, una casetta che mi sono costruita da sola, sono direttrice di un salone di parrucchiere in una zona molto bella di Napoli ed i miei colleghi sono sempre stati squisiti e mi hanno aiutato nel mio cambiamento. Piano piano sto raggiungendo tutti i miei obbiettivi e spero che un domani potrò aprire un salone tutto mio”.

“Mi ricordo che alle elementari, in oratorio, una bambina mi disse “ma tu da grande vuoi essere un maschio?” Lei aveva visto qualcosa in me, ma io non pensavo, ai tempi, fosse possibile. Sono sempre stato, anche quando ero una ragazza, molto poco ragazza, fuori dagli stereotipi, anche se ci ho provato, ci ho provato a rientrare nel canone di donna cisgender, ma era evidente che il mio cammino non fosse quello. Il 27 gennaio 2020 sono andato a Torino per la mia prima visita psicologica: Non è stato semplice perché la psicologa va per forza di cose a scavare in certe cose in cui tu non vuoi più tornare, perché le hai già affrontate. Ogni visita era un trauma, mi chiedevo perché dovessi raccontare tutte le mie cose personali ad una terza persona. Sono passati più di due anni, il tempo si è dilatato molto ma finalmente il 16 dicembre 2021 mi hanno fatto la prima iniezione di testosterone all’ospedale, non ho mai avuto ripensamenti. Da lì è iniziato tutto il resto”.

“Sono un’attivista dal 1982, ho cominciato al MIT di Torino. Ero giovane, non ce l’ho fatta, era troppo per me, ai tempi e la società non mi aiutava quindi ho dovuto mollare. Mi sono ritrovata a prostituirmi ma non mi piaceva. Ci è voluto poco perché diventassi una tossicodipendente. L’eroina in quel periodo mi ha salvata, grazie all’eroina ho sopportato quella vita, perché altrimenti credo che avrei ricorso al suicidio. Dopo 5 anni, attraverso un percorso in comunità, ne sono uscita e nel ’91 avevo una vita nuova, ma la società era sempre la stessa. Per sei mesi l’anno, per 16 anni, ho cominciato a viaggiare in India a cercare me stessa, la mia identità, e quando tornavo in Italia, mi prostituivo per mantenermi, non c’erano molte altre possibilità, in quegli anni. Nel 1995 ho collaborato alla creazione dello sportello trans, al MIT di Torino, il primo in Italia, con l’aiuto della Cgil, con la quale tutelavamo le persone trans sul lavoro. [..] Nel 99’, dopo un viaggio sull’Himalaya durato più di un mese ho smesso definitivamente con la prostituzione, cercando nuovi impieghi per fare denaro. Durante quel viaggio ho trovato, finalmente, la mia identità, la mia vera natura: ho scoperto che la mia è un’identità equilibrata tra il maschile ed il femminile, un’identità binaria. Ho una sensibilità femminile ed è per questo che mi presento al femminile, parlo di me al femminile, ma non dico che sono una donna, perché non mi riconosco totalmente in una donna: riconosco la mia sensibilità femminile ma c’è la consapevolezza che ci sia una parte maschile, che ho accettato e accolto dentro di me. In me ci sono due esseri che si confrontano, si amano, si rispettano e hanno la capacità di stare in equilibrio fra loro. “Non ho mai capito perché ci si soffermi così tanto sull’apparenza fisica, nonostante io comprenda che la chirurgia estetica aiuti tantissimo. Ma soffermarsi solo sulla ricerca ossessiva di somigliare al modello esteriore femminile o maschile proposto dalla società è riduttivo, c’è una paura di fondo, di guardarsi dentro. Secondo me le persone trans devono essere orgogliose di essere trans perché SONO trans, non perché sono donne o uomini. Essere trans è essere sé stessi attraverso l’accettazione di sé, comprendere la nostra unicità che sta nella nostra dualità. Dobbiamo rispettare ed accettare la nostra dualità. Gestirla con fierezza, semplicità, ecco da dove, secondo me, dovrebbe nascere il nostro orgoglio”.

“Il mio nome è Ethan perché, poco tempo fa, ho trovato una lettera che scrissi quando ero piccolino, in cui mi rivolgevo a me stesso al maschile, con quel nome. Io lo so da sempre di essere trans, dovevo solo realizzarlo. Non è una cosa sempre bella accorgersene da così piccoli. Credo che forse avrei affrontato tutto con più tranquillità se l’avessi capito più tardi. Invece ero un bambino e mi tartassavo con questi dubbi, con mille domande. Avevo troppi pochi mezzi per capire quello che mi stava succedendo dentro. Ho dovuto nascondere tanto e questo tanto mi ha cambiato. Mi accorgo di quanto mi sentivo solo da piccolo, di quanto avrei avuto bisogno di sapere che, invece, non ero solo, e quindi sono qui a parlarne. Ci sono tante persone esterne, che non stanno vivendo la nostra situazione che si sentono in diritto di parlarne senza dar voce veramente al mondo trans. Invece, da persona trans, è importante sentire e vedere testimonianze di persone che stanno passando quello che stai passando tu, o che l’hanno già vissuto, per non sentirci più soli al mondo, per non sentirci “strani”, “alieni”.

“Ho fatto coming out con il responsabile del magazzino in cui lavoro, e per fortuna non c’è stato nessun problema, ma gli ho chiesto di non dire niente ai colleghi. Immagino quali commenti dietro alle spalle potrebbero fare. Ho sentito più volte commenti omofobi, transfobici, sessisti sul posto di lavoro. Penso sia una realtà comune a certi ambienti di lavoro. Quando sono in magazzino mi devo estraniare da me stessa, mi sono creata uno scudo che metto quando vado a lavorare, di modo che ogni volta che mi sento chiamare con il mio deadname [neologismo che indica il nome di nascita di una persona transgender ed allude a qualcosa che non esiste più, che è “morto” nel momento in cui la persona ha scelto il nome che rappresenta la sua vera identità], la cosa non mi ferisca. Non ho creato legami, dico lo stretto necessario. Ho pensato spesso di andarmene. Ma non saprei da dove cominciare. Nel 2018 ho fatto coming out in famiglia ed inizialmente è andata malissimo. Avevano paura avrei perso il lavoro, che sarei dovuta andare a prostituirmi. Purtroppo è ancora molto forte il binomio transessualità e prostituzione. Prima della transizione venivo lasciata in pace, ora che invece sto portando avanti questo cambiamento anche a livello ormonale, sto provando sulla mia pelle cosa voglia dire essere donna nella società, sperimento il sessismo. A volte mi sento oggettificata, per strada. Ma nonostante questo e tutti i problemi avuti negli altri campi della mia vita, sono felice e non tornerei mai indietro.”

“Sento che la mia vita sia in pausa. Voglio fare tantissime cose, tra cui l’università, ma voglio farle con i nuovi documenti. Sto guardando la posta tutti i giorni ma non so quando e come arriveranno, è molto frustrante. Ho iniziato il percorso due anni e mezzo fa, sto decisamente aspettando da troppo e penso di essere uno tra i fortunati. Per me è stato umiliante dover assumere un avvocato e trovarmi in tribunale a dover dare spiegazioni davanti ad un giudice che sceglierà per la mia vita: io non ho mai fatto nulla di male. Fa tanta rabbia. Quando ci sei dentro non vedi l’ora che finisca. Il mio sogno più grande è girare il mondo per dare aiuti umanitari. Mi piace entrare in contatto con le persone. Ascoltare le storie delle persone nei differenti contesti culturali, qui diamo troppe cose per scontate e la cosa mi fa male. Qui a Milano sto cercando di aprire una casa-rifugio per persone trans, sarà una bella occasione per fare qualcosa di concreto, ci vorrà tempo ma ci credo. Ho aperto una raccolta fondi e ho anche già trovato il posto perfetto per aprirlo!”

“Nel 2000 ho conosciuto un uomo, che oggi, nel 2022 è ancora con me. Dopo due anni che stavamo assieme ho cominciato a farmi delle domande, la mia situazione era favorevole, avevo fatto coming out come omosessuale e la mia famiglia e amici avevano accettato la cosa, tanto che il mio compagno era venuto a vivere con me e i miei genitori. Nonostante stessi bene con il mio compagno, non ero felice, c’era qualcosa in me che non andava bene. Tra i vari pensieri e parlando con i ragazzi del circolo di cultura omosessuale Mario Mieli, per cui lavoro da 10 anni, ho notato che c’erano delle grandi differenze fra me e l’esperienza delle persone omosessuali con cui parlavo. Da lì sono sorti dubbi che sono diventate riflessioni che alla fine si sono tramutate in certezze e quindi, un giorno, io e Markus, mio attuale marito, ne abbiamo parlato e ho deciso di intraprendere un percorso di transizione, di modo che tutto il mio corpo si allineasse con quella che sono dentro, la mia essenza.  Ed eccoci qua. Nel 2008 ho concluso il mio percorso chirurgico e dopo aver cambiato i documenti io e Markus ci siamo sposati, all’epoca non c’erano le unioni civili, quindi abbiamo dovuto aspettare il cambio dei documenti.”

“Non è mai stato semplice, né nell’ambito personale, né nell’ambito sentimentale, ho avuto problemi a trovare il mio spazio nella società, il mio posto. Ci ho messo tanto a guardarmi allo specchio, a vedere chi ero davvero. Non ne potevo più di nascondermi, ma avevo tantissima paura. Paura del percorso perché non sapevo nulla a riguardo, non conoscevo il mondo trans in generale. Ci sono andata con cautela, mi sono informata tanto, sentivo che non sarebbe stato semplice, ma non capivo a pieno cosa volesse dire quella voglia frenetica di cambiare, di vedermi donna. Non capivo. Ero confusa. Questo percorso non lo capisci fino a quando non lo vivi. E’ una cosa enorme, che ti cambia la vita. Io mi sento me stessa, mi sento libera: sono qui! Sono forte! Esisto! Sono come gli altri! Io so chi sono e non lo cambierò mai. Tanti mi dicono “tu hai scelto di essere così”, ma no, io non ho scelto di essere così, io ho scelto di seguire la mia natura, questa è la scelta che ho fatto nella mia vita, e penso di aver fatto la scelta più bella che si possa fare. Fate quello che vi pare, sentitevi forti, potenti, liberi di amare e di essere chi vi pare”.

“A febbraio 2021 ho iniziato a prendere il testosterone. I miei amici e famiglia mi hanno accolto davvero bene, ero pronto a fare guerra ed invece mi sono stupito. Sento tante storie di persone che sono in terapia da anni e vengono ancora misgenderate [dall’inglese misgendering; è un termine che si riferisce all’atto di utilizzare – intenzionalmente o meno- pronomi o nomi che si riferiscono al sesso biologico della persona e non al genere nel quale la persona si identifica] dai propri familiari! Quindi non mi lamento della mia situazione. Bisogna fare attenzione con i pronomi, perché ferisce quando ti chiamano con il tuo dead name o ti danno del “lei” nonostante tu abbia fatto coming out come ragazzo trans e chiesto esplicitamente di chiamarti con i pronomi maschili. Chiaramente a volte non è intenzionale, non tutti lo fanno per ferirti. Infatti, ci tengo a focalizzarmi su questo: ci sono persone ignoranti ma non cattive, al quale io spiego la mia situazione perché so che da lì potrei creare consapevolezza”.

“Ho cominciato la mia transizione a 23 anni, è stata dura, ho passato gli 8 anni più brutti della mia vita poiché la mia famiglia non ha voluto accettare la mia situazione. Ho dormito per strada, in macchina… ma grazie al mio istinto combattente sono riuscita ad andare avanti senza tradire me stessa. Le mie amiche mi hanno aiutato tantissimo. Oggi con la mia famiglia va meglio, stiamo bene e mi amano per quella che sono. Mia mamma in passato aveva paura che io finissi sulla strada a prostituirmi, perché purtroppo qui a Napoli tantissime ragazze trans finiscono sulla strada. Non sono ragazze che vanno condannate, perché è facile cadere in quella trappola, la maggior parte sono giovani che non hanno avuto una famiglia alle spalle che le supportasse. In questa società è difficile, da ragazza trans, trovare un lavoro e di conseguenza la prostituzione sembra l’unica scelta possibile. Io sono stata fortunata e non giudico chi ha preso strade diverse. Oggi ho un’impresa di pulizie tutta mia e la sera lavoro in una pizzeria. Ho lavorato tantissimo per crearmi quello che ho oggi“.

“Mi è venuto un crollo nervoso e non sono riuscita a camminare per due mesi. Avevo 12 anni. Mi è successo di nuovo, poi, quando ero al liceo, a 16 anni. Avevo represso troppo. Ho represso per troppo a lungo il fatto di essere trans. Ho perso l’utilizzo delle gambe per 4 o 5 mesi, non lo ricordo. Ho dovuto imparare di nuovo a camminare. Capire come muovermi, come bilanciare il mio peso. Non vedevo l’ora di tornare a scuola, dai miei compagni di classe. Per tanto tempo non ho saputo cosa fare, come esprimermi, se chiudermi o aprirmi. Non sapevo a chi dar retta. Ho dato retta alle persone sbagliate, perché comunque mi davano una sicurezza, dicendomi cosa fare. Quando ho imparato ad ascoltare me stessa ho imparato a fidarmi di chi mi dimostra che mi vuole bene. E non significa necessariamente che si tratti di chi ti ha cresciuto. Forse può sembrare banale, ma ho la certezza che il male non possa vincere sempre. Un animo puro, nelle circostanze in cui vive, sopravvivrà sempre. Nonostante abbiamo perso tante battaglie e troppe persone per colpa di tutto questo male, sento che questa purezza continuerà ad esistere. Ho letto una bellissima frase in un libro, che ricordo sempre e porto con me: ‘In un mondo spesso governato da corruzione e arroganza è difficile rimanere fedele ai propri principi, ma bisogna cercare in tutti i modi di farlo'”.

È possibile una società in cui l’identità e l’espressione di genere non siano più motivo di discriminazione?  In cui, la disforia di genere, non sia più motivo di disagio? È possibile una società in cui ogni essere umano abbia la medesima libertà? È possibile una società in cui le categorie del patriarcato vengano definitivamente soppresse? È vitale. È la meta ultima.

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La possibilità, la scelta, l’autodeterminazione, secondo Judith Butler, non possono essere un lusso, ma sono cruciali come il pane. 

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